. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

lunedì 13 ottobre 2014

Filosofia da supermercato

Giulia era appena uscita di scuola. Diluviava, cosa che l'aveva resa piuttosto intrattabile tutto il giorno.
Questo farebbe presupporre che la rendesse nervosa anche sotto l'ombrello:  invece no. Era calmissima. Pensava.
Il concetto di pensare è piuttosto articolato - cos'è pensare? Pensatori - ah, ironia! - illustri  - per chi poi? Bah - hanno dedicato secoli di ricerche al concetto. Cos'è veramente pensare?
Affidiamoci alla scienza...
...no, non facciamolo. Penso che la scienza sia più relativa della fede - cosa significa relativo?
Sto divagando.
Insomma, Giulia era sotto la pioggia. Come tutti i giorni aveva chiamato i genitori per dire i propri programmi, così da non risultare dispersa in mare - non c'è il mare? Eppure il diluvio stava provocando proprio quello! - dicevo, non voleva passare per dispersa. Dunque decise di nutrirsi. Dura la legge della sopravvivenza.
Andò in un piccolo supermercato. Aveva due euro in tasca, prese un tramezzino preconfezionato. 
Passò dalla sua mente per un picosecondo che stava per inserire nel suo sistema digerente sostanze potenzialmente pericolose, che potevano essere smaltite male, che si sarebbe sentita  male, che la mozzarella era troppo bianca e il pomodoro troppo rosso per non essere stati geneticamente modificati. Ma chissenefrega. Si vive una volta sola, e se il giudizio divino l'avesse voluta far fuori non l'avrebbe certo fatto con un tramezzino potenzialmente cancerogeno.
Nel frattempo,  il piccolo negozietto diffondeva le note delle Vibrazioni:  immensamente Giulia.
- Grazie - borbottò al cielo. Che carino: Sarcina con tutte le ragazze che poteva rompere con canzoni romantiche doveva rompere proprio a lei? In amor vince chi fugge? Aspetta che mi sotterro!
Poi, che canzone ridicola... Sei immensamente Giulia.  E come sennò,  a metà?
A parte il fatto che... esisteva un'immensità? Perché era stato creato il concetto di fine allora? Era forse legato al concetto di temporalità?  Il tempo non esiste, è un'invenzione umana  - invenzione? No, concezione, meglio - ma l'esistenza cos'è?
La sua mente la portava ad una conclusione: parole, parole, parole, soltanto parole per intendere il non intendibile, che facevano da contorno alla spesa che tentava di fare senza successo, perché là fuori diluviava, perché non si può non pensare alla Cai da ultima delle cose, e nemmeno a quella prima, e nemmeno si può evitare di pensare - beati i tibetani se ci riuscivano, perché lei dopo anni di allenamento ancora non era riuscita a zittirsi un attimo!
Che becera filosofia da supermercato.
Pagò, uscì. Un fulmine la fece sobbalzare: lei era situata esattamente tra un albero ed un altro. Non aveva colpito nessuno dei due, non le erano precipitati addosso; giudizio divino approves il tramezzino.
Camminando si bagnava le scarpe. Attorno a lei, le poche intrepide persone che s'azzardavano ad attraversare un posto non coperto correvano come formichine minacciate dall'aspirapolvere. Perché correte?, si chiedeva. Tanto ormai erano bagnati: tanto valeva fare con calma.
Mangiò il funesto tramezzino sotto la pioggia; dopo circa un minuto, era completamente zuppa dal ginocchio in giù. Nel giro di pochi altri secondi, le scarpe iniziarono a fare il caro vecchio "ciap ciap". Calzini au revoir.
Non aveva mai visto un temporale simile. Le strade erano un'unica, gigantesca pozzanghera. Si augurò che non finisse come l'alluvione genovese di qualche giorno prima: potevano pensarci prima, anziché fare in modo che succedesse un disastro.
Finalmente, finito il pranzo, giunse nella maestosa biblioteca della città.
Si sedette in un bancone sul soppalco dalla banchina di vetro: da lì non solo aveva la visuale su tutta la sala principale, ma poteva ben analizzare i meravigliosi stucchi presenti sul soffitto - come le volute poste agli angoli delle arcate corressero ad accarezzare le finestre simili alle vetrate delle chiese, per poi congiungersi a capriate decorate con altri stucchi, dipinte anch'esse di bianco.
Immaginò l'artista che faceva il certosino addobbando ogni foglia con nuovi incavi, senza porre alcun fiore, ma dando l'illusione che tutto il soffitto fosse fiorito. Senza mettere colore, ma colorando il bianco con immagini bucoliche ma eleganti, quasi non fossero monocromatiche.
Insomma, Giulia si sedette. Quant'è difficile commettere un'azione senza pensarne le conseguenze, o almeno il contesto!
Tirò fuori un libro, e lesse.
Oh, non durò molto. Cinque minuti dopo si bloccò.
Come si fa a scrivere "in realtà?"
Cos'è la realtà?  Cosa la non realtà?
La realtà è la verità? Cos'è la verità?
La verità è relativa? Cos'è il relativismo?
Il relativismo è frutto della mente? Cos'è la mente?
Ma la domanda più importante era: ma per quale diamine di motivo doveva sempre porsi 800miliardi di domande e non giungere mai ad una conclusione?
E perché non era rimasta a scuola direttamente?
I pantaloni bruciavano sui polpacci, s'affollavano sulla pelle, l'imprigionavano tra spire gelate.
Era in biblioteca e si preoccupava dei polpacci! Incredibile.
Cosa era credibile?
Doveva smetterla.
Tornò al libro.
Πάντα ρει, tutto scorre.
Anche quelle domande sarebbero passate, così come le risposte che avrebbero condotto ad altre domande e ad altre risposte.
Gli stucchi però sarebbero rimasti. Forse.
Di certo (certezza? Boh) i pantaloni bagnati, grazie al cielo, no.
Tornò alla lettura.

Buongiorno lettori! Ecco a voi la mia bellissima ultima mezz'ora in chiave più o meno filosoficamente contorta.  Domande senza risposta, certo, ma che spero la troveranno nel corso della mia vita.
Altrimenti chissenefrega, morirò felice ma non contenta.
La differenza tra le due cose...?
Ivy ;)

mercoledì 8 ottobre 2014

Icaro

Buon giorno cari lettori!
Si, è quasi mezzanotte, lo so... ma la vita INIZIA ORA!
La smetto. Scusate.
Primo post di ottobre: iniziamo strong!
Besos :*

Colpire, incanalare, colpire.
Respiro. Incanalare. Colpire.
Più forte di prima.
Aida affrontava così la realtà. Colpo dopo colpo. Mischiando lacrime e sudore, dolore e fatica.
Colpiva finché le bende sui palmi non diventavano porpora, la fatica non usciva da ogni poro, le gambe non si spezzavano al suono della sua violenza, irriconoscibile.
Quella volta, peggio delle altre.
La memoria la stava ingannando. Di nuovo. Ricordava quanto era stato vano ogni tentativo di riscatto, come la vita chiedeva sempre il suo tornaconto, diventando strozzina di se stessa.
Un ricordo. Un sorriso.
Quella volta, era toccato ad un sorriso particolarmente bello l'arduo compito di sconfiggere la fortuna.
Un sorriso a braccetto con occhi magnetici, lineamenti decisi e chioma indomita, come il carattere del proprietario. E la sua attitudine al mentire, al tradire, al cercare il proprio guadagno, sosia indiscusso della stessa stronzissima vita. Forse un po' anche di lei.
Colpo. Respiro.
Denti digrignati che risuonano nella sala, vuota.
A terra ancora i cocci dello specchio, rotto... quanto tempo prima? Non sapeva dirlo con certezza. Di certo non era volato, anzi: ogni secondo bruciava di più, ogni minuto affondava la sua brama di sangue nel suo cuore. Povera Aida, impotente tentava di combattere quel cesaricidio; il suo cuore, o quello che ne rimaneva, aveva preso il controllo della mente. Al contrario dell'immaginario collettivo, il cuore è malvagio, la mente è impotente. È la memoria del cuore che frega, non la memoria oggettiva.
Un altro ricordo. Un attimo, un flash. Icaro.
Lui volò in alto, tanto in alto da precipitare. Peccato non fosse donna, si sarebbe immedesimata meglio nel ruolo...
Era sicura di esserne la reincarnazione ultimamente. Anzi, non solo negli ultimi tempi: solo allora ne aveva constatato la consapevolezza, aveva testato in modo oggettivo la cosa. Ma l'aveva sempre saputo.
L'ennesimo colpo le risuonò dentro, le sue mani suonavano il sacco fino alle lacrime.
La verità, semmai essa fosse mai esistita, era che Aida teneva troppo alle cose, alle persone, alla vita. Quasi come se per questo l'animo volesse punirla... Ahi! Ti sei avvicinata alla felicità, torna indietro!
L'ennesimo sorriso irruppe nei suoi pensieri. Prepotente anche nelle menti altrui.
Un sorriso famelico. Simile a quello di lui? No. Peggio. Era la consapevolezza, di nuovo. A volte ritornano.
Ma una nuova consapevolezza, più legata al concetto generale dell'esistenza.
La vera ipocrisia non è esterna, ma interna.
Lei era ipocrita nei confronti di se stessa: ipocrita nel dirsi che non era vero, che poteva migliorare, ipocrita con gli altri sorridendo alla vita e ingoiando il boccone amaro esclamando "e Vabbè!".
Così erano ipocriti anche i suoi parenti, che sorridevano solo quando serviva loro per qualcosa, e gli "amici", anch'essi ipocriti, già, altrimenti non li avrebbe ricordati come tali, e non avrebbe posto le virgolette al loro nome. Tutti convinti di essere un gradino più avanti rispetto a lei, con più esperienza, o più carisma. Sempre qualcosa in più.
Lei era l'eterna seconda.
Poteva fare qualunque cosa per tentare di migliorare, ma seconda era e seconda sarebbe rimasta.
Bugiarda. Ipocrita. Di nuovo.
Tirò un altro pugno. Peggiore dei precedenti, squarciò il bendaggio rudimentale sul suo polso e fece andare a sbattere il sacco contro il muro, lasciando un buco.
In quel momento un uomo muscoloso entrò nella saletta angusta. Chiuse la porta, incrociò le braccia.
- Ti dovresti medicare. -
Lei lo ignorò. Tirò un calcio,  creò un'altra crepa.
- Mi stai distruggendo la palestra. -
- Te la ripago. - Le uscì qualcosa a metà tra un grugnito ed un gemito soffocato; di certo non riconobbe la sua voce.
Lui le aveva tolto anche quella?
A forza, con l'ipocrisia, la menzogna. Elementi sempre presento nella sua vita - probabilmente era lei a coltivarli, ecco perché tanta cattiveria. Forse avrebbe dovuto fare l'attrice... Ipocrita era ipocrita.
Il tradimento? Questa era la sua giusta punizione? Amore malato? Definizione simile ad una bestemmia, tanto le risuonava forte nei timpani.
Anzi, marcio. Come lei e le sue bugie.
Quel pensiero scatenò il mostro che tentava di reprimere da tutto il pomeriggio. In un raptus racchiuse tutta l'energia che riusciva a raccogliere e colpì il sacco. Questo, già vecchio e malandato, si staccò dal soffitto e irruppe nel pavimento scheggiato da anni di sudore.
- Merda. Te lo ripago. -
- Lo hai già detto... -
Si finse noncurante. Si legò i capelli e andò al tapis roulant, attivandolo al massimo della velocità e impostandolo sulla pendenza del Monte Bianco. Un suicidio in condizioni normali, ma lei non era normale. Non più almeno.
Era un'ameba di quello che era stata.
Aveva puntato in alto, simile ad Icaro. Ci aveva provato. Sempre.
Aida, la migliore. In qualcosa, qualunque cosa, che non fosse la stupidità. Utopia a quanto pare.
Aveva studiato per un 100 e lode, ottenendo un 88.
Aveva lavorato per avere quella promozione, e invece l'aveva avuta la segretaria che andava a letto col capo.  (Anche se ci fosse andata lei, non l'avrebbe ottenuta: avrebbe avuto davanti a sé la moglie.)
S'era fatta in quattro per far sopravvivere la sua relazione, e ne aveva ottenuto solo il suo totale annullamento ed abbandono.
Ed in quel momento tentava di fare il tapis roulant al massimo, col risultato che se non fosse arrivato Fabrizio ad toglierle la sicura sarebbe inciampata su se stessa e sarebbe ruzzolata giù.
- Basta. A questo ci tengo. - Tentava d'ironizzare, con sguardo serio.
- A me no? - scherzò Aida.
Gay da generazioni. Ovvio, era l'uomo ideale. Era una forma d'ipocrisia anche quella?
- Smettila. -
Aida lo ignorò. Scese dalla macchinetta infernale e andò a raccogliere la maglia. Le scivolò dalla tasca il cellulare - inutile dirlo, di seconda categoria, che ironia il destino! - e vide la loro foto. Non aveva avuto tempo di toglierla.
- Mi devo comprare un nuovo cellulare. -
Lo scagliò contro lo specchio  ancora integro. Andò in frantumi.
- Inviami il conto a casa. -
Fabrizio la chiamò. Non si voltò.
Non aveva meta. Senza cellulare,  più svestita che coperta, grondante di sudore. Aveva anche i crampi allo stomaco - non sapeva nemmeno uscire con stile, barcollava.
Icaro era precipitato, bruciato dal sole.
La gente iniziò a guardarla male. All'inizio pensava fosse colpa del top striminzito che sembrava un reggiseno, o forse delle sneaker giallo fluo. Solo quando però le guardò, e vide la macchia scarlatta, si ricordò della mano sanguinante e impallidì. La fissò come se si fosse dimenticata anche di aver sempre avuto un arto nella parte destra del corpo. Provò a muoverla, represse un grido. Faceva male.
Proprio come le sue bugie. Fino a che non le guardi non le noti. È quando le scopri che bruciano.
Il sole.
- Signorina - la scrollò un vecchietto sprezzante del pericolo. Aida si guardò attorno: tutti i presenti la stavano fissando.
Lei sbarrò gli occhi, fece un passo indietro. - Io... -
Corse via. Di nuovo, stavolta più consapevole di tutto. Illuminata come il filosofo della grotta platonica. Bagnata dal sole come la canzone di Noemi.
Senza nemmeno volerlo si ritrovò davanti alla casa che aveva ospitato quella specie di amore malsano per troppo tempo,
Le chiavi. Il maglioncino. La mano sana. Grazie al cielo.
Come un'automa aprì il portone. Gettò a terra chiavi e maglione. Atterrarono accanto alle prime gocce di sangue, sul pavimento. Doveva medicarsi.
No. Prima doveva chiudere il cerchio, lasciare un addio a Dedalo prima di perire. D'illuminarsi d'immenso.
L'indomani lui sarebbe passato a prendere le sue cose. Gli avrebbe lasciato un ricordino.
Prese il quadro che le aveva dipinto e lo ruppe sulla sedia che aveva rivestito. Strappò le foto che aveva scattato, le altre le gettò nel camino che aveva pulito maniacalmente. Stracciò tutte le carte che le aveva stampato su come rimanere a dieta, distrusse la tazza che le aveva rinfacciato per tre anni perché troppo "da bambini". Bell'adulto lui.
Gettò i vestiti che le aveva criticato sul terreno, li schiacciò coi libri che le aveva letto ad alta voce "per cultura". Roba pallosa.
Suppellettili, libri, DVD, vestiti, memorie, ricordi, troppe cose sue, dovevano essere rimosse per poter sopravvivere.
Icaro avrebbe inforcato gli occhiali da sole stavolta.
Infine prese il suo cuore. Lo portò sul letto. Lì si sentì mancare.
Svenne.
Icaro volava via.

Dubbi?  Sulla mia sanità mentale ovvio!
Scherzi a parte, vi è piaciuto? Attendo commenti :*
Vestra, Ivy