. . . All you life, you were only waiting for this moment to be Free . . . * Nulla enim culpa est in somnis.

mercoledì 12 giugno 2013

IL MISTERO DEL GATTO PERDUTO

Ma ssalve signori miei!
Scuola finita! Un po' dispiace. Ma solo un po': datemi una settimana e già non avrò più alcun sentimento triste ;D
Sono lieta d'annunciarvi la mia vittoria del premio letterario della mia scuola! Ed ecco a voi il mio testo... Buona lettura!


Le luci del vernissage illuminavano Imperia, quella notte. Un centinaio di ricchi abiti scintillanti sfilavano ordinatamente davanti ai quadri moderni; gli smokings invece troneggiavano attorno al piano bar. Solo una donna chiacchierava allegramente con gli uomini: non eccessivamente bella, capelli biondo cenere abilmente tinti raccolti in un toupet, occhi nocciola tendenti al verde, zigomi pronunciati e naso aquilino. Indossava un vestito turchese ricco di paillette simili ai granelli di zucchero, che le lasciava scoperte le ampie spalle. Completavano la mise vertiginosi tacchi venti dello stesso colore della pochette ed enormi orecchini grigio ghiaccio.
“Per i miei gusti queste vostre mogli perfette sono noiose e basta. Piuttosto, chi mi offre un sigaro?” Un uomo le porse una scatola. “Cubano, ottima scelta. Dicevo…” Un altro le tese l’accendino. Accese, tirò una boccata. “Dicevo, l’arte è affascinante, altrimenti non sarei qui, ma mettersi  a spettegolare sull’artista è disgustoso! Ve l’assicuro, la vostra compagnia è migliore.”
“Non è sposata, vero?” domandò uno dei presenti, divertito.
“Sposata io? Le sembro una persona sopportabile?” Risate diffuse, roche, allegre. “Suvvia, non diciamo sciocchezze. È già tanto se mi sopporta il mio cane.”
“Di cosa si occupa, signora Zuccheni?”
“Oh, niente di particolare. Compro quadri e li cedo al miglior offerente, acquisto appartamenti e li rivendo, grazie all’eredità di una mia vecchia zia. Eh già, Zia Betty m’ha sistemato la vita… L’avessi almeno conosciuta! E poi… Scusatemi.” Tirò fuori il Blackberry urlante. Zittì i Maroon 5 cliccando sul pulsante dalla cornetta verde. “Pronto?” rispose allegra. Poi divenne seria. “Arrivo subito.”
“Signori miei” disse agli uomini, “temo che dovrete continuare senza di me. Il dovere mi chiama! E grazie ancora per il sigaro.” E tacchettando uscì dalla galleria. Con le unghie smaltate di grigio tortora digitò un numero.
Dall’altra parte, un uomo dai capelli scuri, a petto nudo s’allenava a picchiare un punching ball nella piccola palestra che gestiva. Il sudore grondava sulla tartaruga ormai ben definita e sul pavimento scheggiato. I suoi pugni, circondati dai guantoni, facevano oscillare pericolosamente il sacco. Proprio sul più bello il cellulare iniziò a squillare. Con rabbia si tolse i guantoni e li scagliò per terra; poi prese un asciugamano, s’asciugò alla meno peggio, dunque rispose con un “Che c’è?” piuttosto alterato.
“Ehi cavernicolo, m’hanno chiamato dalla Centrale, allarme rosso.”
“Sai che non mi devi disturbare quando m’alleno!”
“Sai che devi essere sempre pronto per le emergenze!” E riattaccò.
L’uomo sbuffò e s’infilò sotto la doccia.

Venti minuti dopo erano al Posto di Polizia del paesello vicino, San Lorenzo Al Mare. I due si salutarono con un cenno.
“Beatrice…” “Diego…”
Erano tornati nelle loro vesti abituali: lei un tallieur leggero con una giacca aperta sulla camicetta candida, lui jeans e giubbotto di pelle.
“Bene” esordì il Commissario, un uomo alto e smilzo con radi capelli. “Finalmente abbiamo un caso serio da assegnarvi!”
“Un morto?” chiese Diego. “Un rapimento, una truffa, una rapina?”
“No, una sparizione!” I due si fecero attenti. “È scomparso… Il gatto della signora Marchese!”
Diego lanciò una colorita imprecazione. Beatrice tuonò: “Un gatto? UN GATTO? Sono dieci anni che lavoriamo qui, siamo gli unici investigatori della zona, mollate i casi seri alla Centrale di Imperia e ci affibbiate UN GATTO?”
Il Commissario era sbiancato. “Si…M-ma è serio… I-il fe-felino è sco-co-comparso da due settimane e…”
“E?”
“…E c’è stata una richiesta di riscatto. Diecimila bigliettoni.”
“Da parte di chi?”
“Non si sa, dovete scoprirlo voi!”
I due si guardarono negli occhi. Poi sospirarono. “E va bene!”
Il Comandante andò ad abbracciarli, successivamente consegnò loro il fascicolo inerente al caso (limitato a una fotocopia della lettera di minacce e a una foto del gatto).
Fuori dalla questura, Beatrice guardò teneramente il compagno. “Adesso mi saluti?”
Diego la baciò. “Questa storia del matrimonio nascosto è più semplice del previsto…”
Salirono in macchina, diretti alla loro casetta sul mare, fuori San Lorenzo, per non destare sospetti.
In pigiama, una tazza di caffè davanti, esaminarono le prove.
“Uhm, il rapinatore dev’essere straniero. ‘Salve siniora, io volio dieccimilla euro in contati entro lunedi matina o suo gato fara bruta finne. Mette in casetta posta di via Cipressa 8 entro ore doddici.’ A meno che non sia un povero marinaio analfabeta.”
“O non sia per depistarci.”
“Anche.” Beatrice guardò la foto del gatto e scoppiò a ridere.  La passò al marito, che rise come lei. Il gatto era nero con macchie bianche, grasso come l’omino Michelin e con un fiocco rosa confetto al collo. “Ci sarà voluta una gru per sollevarlo!” commentò lui.
“Quindi ne dobbiamo dedurre che il nostro rapitore…”
“O la nostra rapinatrice!”
“…O la nostra rapinatrice ha forza da vendere ed un pessimo italiano?”
“Esatto” concluse lui alzandosi dalla sedia di vimini. Ormai fuori albeggiava. “Io direi di fare un sonnellino e poi iniziare le indagini.” Si stiracchiò.
“Buona idea” sbadigliò lei. E andarono a letto.

L’indomani partirono con l’indagine interrogando gli operai stranieri che lavoravano nel cantiere vicino a Villa Buonsole. La maggior parte erano albanesi padri di famiglia, con alibi di ferro: si frequentavano solo tra di loro oppure  rimanevano a casa con le mogli e i pargoletti. Uno di loro però era privo d’alibi: un rumeno giunto in paese da poco, che riusciva a comunicare con gli altri solo in inglese. Cezar infatti era in Italia da poche settimane, poiché aveva perso il suo lavoro in Romania. “Ma io brava persona” diceva “io laureato in Romania, in Italia non conta!”
In ogni caso, i due coniugi continuarono le ricerche: era impossibile condannare un uomo senza prove, specialmente se il poverino in questione non aveva colpe. Quindi chiesero di entrare nella villa: la signora Marchese, vedova da anni, fu ben lieta di accoglierli… per quanto potesse esserlo.
Infatti, dopo la morte del marito alla veneranda età di ottantanove anni, l’unica compagnia rimastale era quella del gatto Cleopatra – per lei Cleo - che coccolava come fosse figlio suo, non avendone avuti.
La casa era enorme, buia a causa delle tende tirate - cosicché il puzzo di chiuso regnava sovrano – e piuttosto sporca – a novantotto anni è difficile fare le pulizie.
La signora Marchese li accolse vestita di nero, pallida come un cadavere; insistette che rimanessero a pranzo. “Credo che le vostre case siano lontane…” mormorò con voce flebile.
Le ricerche partirono dalla camera di Cleo: più linda delle altre, risaltavano un enorme letto a baldacchino con una coperta di velluto rosa e una composizione di ciotole d’argento colme di ogni ben di Dio. “Cucino per lui, io non mangio molto” si giustificò la vecchina.
Beatrice e Diego trovarono più di quanto s’aspettassero: un brick di vino di bassa qualità vuoto, residui di fazzoletti, un foglio di carta in cui era avvolto un chewing gum. Di certo non appartenevano alla signora Marchese: tutti sapevano che era ormai sdentata e di certo non beveva. Per di più si poteva permettere una bottiglia di vino pregiato.
Dovendo sorbirsi la brodaglia di cavoli che la signora aveva amorevolmente preparato, uscirono dalla villa verso le tre del pomeriggio, più spossati per il pranzo che per le indagini. “Adesso che si fa?” chiese Diego accendendosi una sigaretta.
“Si va al supermercato!” rispose Beatrice, togliendogliela di bocca e schiacciandola sotto ai piedi. Diego s’adirò ma non disse nulla: nessuna scenata davanti alla gente.
Il commesso Armando fu molto utile. “Si, circa due settimane fa era venuto uno straniero: non era un turista, si vedeva, anche perché m’ha chiesto un B&B ove alloggiare per una notte. I turisti vengono da Imperia, non passano mai la notte in Paese. Comunque ha comprato solo un brick di vino.” Senza darlo a vedere i detectives esultarono. Ringraziando, si diressero al B&B del paese. La signora Lucia, dopo averli rimpinzati a dovere di dolci, esclamò col suo bel vocione: “Ma si, quell’uomo affascinante! Un po’ grasso devo dire, ma non si vede mai gente nuova qui… Si, ha lasciato il nominativo, ma non so se posso darvelo… Ma suvvia, siete investigatori, si che posso:  aveva un nome buffo…  Muziano Serra. Muziano! Povero bimbo…” Ma non fece in tempo a finire la frase che già Beatrice e Diego s’erano precipitati a Villa Buonsole.
“Signora! Conosce un certo Muziano Serra?” chiesero trafelati per la corsa.
“Muziano… Muziano… L’ho già sentito. Se non sbaglio era un prozio della sorella di…”
“Ancora in vita!” ringhiò Diego.
“Ecco, guardate l’albero genealogico” e li condusse in una stanza con un albero sulla parete, simile a quello di Harry Potter ma fermo. In fondo, un nome impolverato come gli altri ma solitario: Beatrice tese il palmo, levò la polvere e lesse il nome. Muziano Maria Gesualdo Serra, pronipote della Contessa Marchese.
“Attualmente dove abita suo nipote?” domandò Diego. Il mistero era quasi stato risolto, ancora poco e…
“E che ne so!” ribatté la signora.
“Come non lo sa!?!” Diego le stava per saltare addosso dalla rabbia, quando Beatrice s’interpose tra i due. “Signora, ha le Pagine Bianche?” chiese allora Beatrice.
La Contessa le tese una copia del 1997. Un po’ datata.
Quindi i due corsero alle Poste vicine, e nell’elenco telefonico più recente scoprirono che il nipote abitava proprio ad Imperia. Dunque salirono in macchina alla velocità della luce, guidarono a sirene spiegate e smontarono nei pressi d’un appartamentino piuttosto angusto. Pistole alla mano – mai usate ovviamente – si misero ai lati della porta. Al tre, Diego la sfondò.
Sul pavimento si trovava il gatto, acciambellato su un lenzuolo. Muziano dormiva su un divano vicino. Nell’aria, un olezzo di pipì felina.


Incredibile storia accaduta a San Lorenzo Al Mare, piccolo borgo ligure: un uomo rapisce il gatto della ricca bisnonna, con l’intento di sopprimerlo perché, alla morte della signora, tutta l’eredità sarebbe andata al felino, non essendo stato lui citatonel testamento della vedova. Sperando che la nonna morisse di crepacuore alla perdita del gatto, non ha fatto i conti con gli investigatori del luogo, che hanno prontamente fermato l’improvvisato rapitore. Un mistero che è andato avanti per ben due settimane, senza che la vecchina sapesse dove fosse finito il suo gatto, né ricordasse di avere un nipote ancora in vita. Il gatto, visibilmente obeso, è ora ricoverato all’ospedale veterinario di Imperia per una lavanda gastrica: per trasportarlo l’uomo l’aveva infatti ubriacato. I due poliziotti, che a sorpresa erano sposati all’insaputa di tutti, otterranno questo pomeriggio le chiavi del paese. ”

Beh? Che dite, l'ha meritata la vittoria? Commentate!
Kiss ;*
Ivy

Nessun commento:

Posta un commento

Finalmente hai deciso di commentare! Sarò felice di risponderti al più presto.