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lunedì 31 dicembre 2012

Natale in ritardo e Capodanno in anticipo

Buona splendida serata gente! E' l'ultimo post dell'anno!
Ahimé, non è stato un anno felice... A questo proposito, saluto la mia nonnina, che anche se è andata dal Signore mi continuerà a leggere. :)

Ringraziamenti di fine anno: Grazie ai miei 10 splendidi lettori fissi, anche se 2 di questi sono io; vi voglio vedere RADDOPPIATI il prossimo anno.
Grazie alle 1819 volte che siete entrati a visitarmi, perché state coronando il mio sogno. Fatele lievitare!Grazie ai miei 28 "mi piace", che spero diventino molti di più.
Grazie alla mia splendida famiglia ed ai miei splendidi amici ed alle mie splendide amiche che mi sostengono e sopportano sempre.
E grazie a tutte le persone che mi hanno dato una o più parole su cui lavorare. Veramente GRAZIE.
E con l'anno nuovo inauguro una novità: se vorrete potrete inviarmi anche immagini - oltre alle parole - su cui ricamare un raccontino breve! Avanti numerosi!
Ed ora per vuoi il racconto di Natale che non avevo fatto in tempo a pubblicare il 25, tratto dal giornalino "Praticantati" - ma ovviamente scritto da me.

BUON 2013!!!




Anche quel giorno, malgrado fosse l’ultimo prima della Vigilia di Natale, arrivai a casa appena prima delle sette e mezza.

Appena girai la chiave nella toppa, un aroma di pollo e patatine m’invase le narici.

"Mamma, sono a casa!” dissi chiudendo il portone. Mi tolsi la sciarpa, il cappotto pesante ed i guanti, poi sfilai gli stivali di gomma e infilai delle pattine felpate. Ciabattai fino all’adiacente cucina, schioccai un bacio sulla guancia della mia super mamma e mi buttai su una sedia, stremata.
Mia madre stava scongelando della carne per fare un ragù. “Domani sera vengono i tuoi zii a cena, inizio a preparare. Mi dai una mano?”
Quelle parole ebbero un effetto benefico su di me.
Da quando papà era stato dichiarato ufficialmente morto, sei anni prima, mentre faceva un servizio in Azerbaigian, l’unica occasione in cui la famiglia si riuniva era il cenone della Vigilia di Natale.
Che bella festa, il Natale…  La mia preferita.
All’inizio s’accendevano le candele dell’Avvento in Chiesa, e si faceva il Presepe: senza la statuetta di Gesù Bambino , che si metteva la notte di Natale,  e senza quelle dei Re Magi, che invece arrivavano il giorno dell’Epifania, ma in compenso pieno di statuine di pastorelli e pecorelle, panettieri e pescatori, contadine e cittadine, fabbri, mendicanti, e tutti i personaggi caratteristici del luogo. Papà da giovane li aveva intagliati con le proprie mani, e negli anni vi aveva aggiunto tutti i suoi cari, me e mamma comprese.
Nel nostro piccolo appartamentino di città il bianco predominante in mobili e muri (definito ‘Bianco Ospedale’ da papà e ‘Bianco Moderno’ da mamma) lasciava spazio a colori più vivi, come il rosso, l’oro e l’argento: entrando in casa, m’avvolgeva una sensazione di immediato calore, di familiarità, di affetto incondizionato. I pacchetti ed i bigliettini mi ricordavano quante persone ci volevano bene, ed ogni anno si ricordavano anche di noi; l’albero luccicante colmo di palline, che diligentemente avevo attaccato una ad una, mi faceva pensare a quanto ogni dettaglio sia importante, anche nella vita di tutti i giorni; la tavola colma di ogni ben di Dio simboleggiava l’amore che mia madre metteva nei suoi piatti, nutrendoci con la sua tenerezza e la sua gioia di vivere, appannata solo dall’assenza di papà…
E poi tutti sembravano veramente più buoni, come la pubblicità della Bauli. Ogni strada luccicava di lampadine dorate, ogni negozio sfoggiava ghirlande e fiocchetti, ogni angolo pullulava di pseudo Babbi Natale ed i bambini iniziavano a scrivere lunghe lettere in cui elencano le cose buone – non realmente fatte – che li avrebbero di certo fatti morire dalle risate una volta divenuti adulti.
Anche a scuola il Natale si faceva sentire: a mano a mano, tutte le classi si armavano di alberello, palline, ghirlandine ed angioletti, e i ragazzi iniziavano a fare il countdown verso le vacanze. Corte, agognate, piene di compiti e ripassi, ma pur sempre vacanze.
 “Aurora! Ci sei?” mi riscosse mia madre.
“Si, si…” risposi distrattamente mentre mi pulivo le briciole di pane dai pantaloni. Mi alzai e l’abbracciai. Lei si stupì.
“Ehi, che cos’è questo gesto improvviso? Che c’era nella pagnotta?”
“Amore e spirito natalizio” risposi con un sorriso. Poi volsi distrattamente lo sguardo alla finestra. E rimasi a bocca aperta.
La neve scendeva lievemente dietro  ai vetri appannati delle case. L’ultima neve dell’anno, quella che non si dimenticherà mai se abiti in un posto dove non nevica mai, quella che si posa sulle automobili piene di brina e si lascia evaporare sui camini bollenti, quella che fa “ciap, ciap” sotto le suole delle scarpe, mischiata al fango ed all’asfalto...
Istintivamente, presi mia madre per mano e la feci uscire. Lei tentò debolmente di protestare, ma nel suo intimo anche lei lo desiderava.
Uscimmo dal portone principale in ciabatte e magliettina leggera, il freddo che s’insinuava nella pelle ancora tiepida e faceva battere i denti. Le presi le mani tra le mie e la feci girare, come se avessimo tre anni, fino a che non cascammo a terra ridendo e sporcandoci i pantaloni. Io aprii la bocca e buttai la testa indietro, tentando di mangiare qualche fiocco; mamma invece si limitò ad osservarli scendere sul suo naso, estasiata.

La sera di Natale eravamo tutti attorno alla tavola imbandita, con i vestitini rossi e dorati ed i sorrisi sui volti.
Era un momento triste ed allo stesso tempo felice: triste perché mi ricordava che papà non c’era più, felice perché in ogni caso era Natale, e lui avrebbe voluto che fosse così.
Dopo aver detto la preghiera, stavamo per mangiare, quando qualcuno suonò al campanello. Siccome mia madre era in cucina, m’alzai io. Chiesi chi è.
“Sono io” disse una voce familiare.
Sconvolta, tolsi il chiavistello ed aprii la porta.
Di fronte a me, un uomo sulla cinquantina pieno di cicatrici s’ergeva in tutta la sua statura, le zampe di gallina scavate accanto agli occhi, un sorriso dolce, gli occhi ridenti che brillavano d’emozione.
Il corrispondente di guerra, l’uomo coraggioso, il fedele marito, il padre migliore del mondo. Era tornato a casa.
Senza dire nulla, con le lacrime agli occhi, lo abbracciai, mentre silenziosamente rendevo grazie a Babbo Natale e Gesù Bambino per il regalo inaspettato.

Un Bacione, e grazie ancora per tutto. ;*


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